martedì 27 gennaio 2009

Giornata della memoria, dovere della coerenza.


Come ogni anno i media ci propinano la solita solfa sugli orrori perpetrati dai nazisti (che per l’occasione diventano “nazifascisti”) nel periodo hitleriano... Al di là di banali considerazioni circa i rischi di assuefazione o, al limite, di rigurgito da nausea che la ripetitività del rito comporta, al di là del perverso meccanismo che prevede che il debito contratto dell’Occidente nei confronti degli Israeliti venga fatto pagare dai Palestinesi, al di là quindi degli aspetti più squisitamente mediatici e politici della questione, ritengo giusto, ritengo mio dovere affrontare tale questione esponendo alcune considerazioni e cercando di seguire un percorso coerente seppur necessariamente sintetico.


LE LEGGI RAZZIALI E IL RAZZISMO “BIOLOGICO”

Cominciamo dal ricordare che in Italia la discriminazione razziale inizia ufficialmente nel settembre 1938... ci sono però delle premesse. Nel 1937, per porre un limite alla tendenza dei coloni italiani a “metter su” una seconda famiglia in terra d’Africa o all’acquisto di una concubina, viene emanato un decreto che vieta tali pratiche. Nell’agosto del 1938 compare il primo numero della rivista “Difesa della Razza” che pubblica (in realtà lo ri-pubblica in quanto il manifesto appare sul Giornale d’Italia nel luglio dello stesso anno) il “Manifesto degli scienziati razzisti”.

Detto manifesto, che tra i suoi firmatari annovera rappresentanti di rilievo del mondo accademico e scientifico (l’elenco, se vi interessa, lo potete trovare su Vikipedìa insieme a quello delle personalità che pubblicamente manifestarono la loro adesione), parte da considerazioni banali se non scontate (quali ad esempio l’esistenza delle diverse razze umane e la considerazione che tale differenza sia di tipo biologico e non culturale, religioso e storico) per poi giungere, in un crescendo sconcertante di asserzioni prive di fondamento e logica, a definire l’esistenza di una specifica “razza italiana” pressoché immutata dall’invasione Longobarda in poi. La gratuità delle conclusioni è tale che desta meraviglia, se si escludono alcuni articoli di ispirazione Marinettiana sulla rivista futurista “Artecrazia”, che nessun rappresentante dell’élite culturale del tempo abbia sentito il dovere o abbia avuto il coraggio di manifestare pubblicamente il proprio dissenso. Dai Diari di Galeazzo Ciano apprendiamo che, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 5 ottobre 1938 solo Balbo, Federzoni e De Bono prenderanno le difese degli Ebrei italiani. In realtà pare (sempre secondo Ciano) che l’ispiratore - se non addirittura l’estensore - del manifesto sia lo stesso Capo del Governo, Benito Mussolini.

E qui ci troviamo davanti ad un primo punto interrogativo, ahimè senza risposta: negli anni precedenti né il Fascismo, né il Duce hanno mai manifestato alcun interesse nei confronti delle teorie razziste in auge in Germania. Anzi, nei famosi “Colloqui con Mussolini” pubblicati da Mondatori nel 1932 il giornalista Emil Ludwig, ebreo e tedesco, riporta come il Duce condanni senza riserve il razzismo biologico, definendolo esplicitamente “una stupidaggine” ed affermi che “l’antisemitismo non esiste in Italia”.

Nel 1929 in un discorso alla Camera lo stesso Mussolini afferma: “Questo carattere sacro di Roma noi lo rispettiamo. Ma è ridicolo pensare, come fu detto, che si dovessero chiudere le sinagoghe. Gli ebrei sono a Roma dai tempi dei Re; forse fornirono gli abiti dopo il ratto delle Sabine. Erano cinquantamila ai tempi di Augusto e chiesero di piangere sulla salma di Giulio Cesare. Rimarranno indisturbati”. E ancora a Bari nel 1934 il capo del Fascismo, con chiaro riferimento alle teorie antisemite in auge in Germania, afferma sprezzante: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltre Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”.

Come si giustifica il voltafaccia del Duce? Come può lo stesso uomo che ha dato libera accoglienza in Italia agli Ebrei in fuga dalla Germania, arrivare ad imprimere al movimento Fascista una svolta razzista che al movimento mai è stata propria? (A tale proposito giova ricordare che tre dei Martiri Fascisti uccisi negli scontri tra il 1919 e il 1922 – Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo – sono Israeliti, e che 230 Ebrei prenderanno parte alla Marcia su Roma. Nell'ottobre del 1922 gli Ebrei iscritti al partito fascista o a quello nazionalista, destinati a fondersi l’anno successivo, sono 746...Guido Jung, deputato fascista, viene nominato ministro delle Finanze dal 1932 al 1935. Maurizio Rava è nominato vicegovernatore della Libia, governatore della Somalia e generale della Milizia. Aldo Finzi – destinato a morire alle Ardeatine - diviene sottosegretario agli interni di Mussolini e membro del Gran Consiglio, mentre Dante Almansi ricopre addirittura la carica di vice capo della Polizia. Lo stesso Mussolini ha amici ebrei quali Angelica Balabanoff, Cesare e Margherita Sarfatti, quest’ultima per lungo tempo amante del Duce, condirettrice della rivista fascista "Gerarchia" e autrice della prima biografia di Mussolini, “Dux” la cui traduzione in tutte le lingue contribuisce a propagandare il fascismo nel mondo).

Ma il vero quesito è: “Perché”?

C’è chi adduce ragioni storiche, quale l’elevato numero di Ebrei nelle fila antifasciste (in particolare nel movimento Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, anch’essi Israeliti, figurano tra gli altri Sion Segrè, Mario Levi, Leone Ginzburg, Carlo Mussa Ivaldi, Barbara Allaso, Augusto Monti), chi ricorda come la promulgazione del “manifesto” avvenga un anno dopo la visita del Duce in Germania e a poca distanza dalla visita di Hitler in Italia, in un contesto che ha visto – dopo la vicenda delle “inique sanzioni“ e la collaborazione italo-tedesca alla vittoria di Franco in Spagna – un forte riavvicinamento dei due dittatori dopo una fase di diffidenza reciproca culminata con l’uccisione del “filo-fascista” cancelliere austriaco Dollfuss. C’è chi rispolvera uno scritto – tutto sommato abbastanza “innocuo” – del 1919 in cui il futuro Duce si domanda se la Rivoluzione russa non sia stata “la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo, visto che l'ottanta per cento dei dirigenti dei Soviet sono ebrei... La finanza dei popoli è in mano agli ebrei, e chi possiede le casseforti dei popoli dirige la loro politica” e c’è chi va cercando nei meandri della psicologia le ragioni di una improvvisa e misteriosa sudditanza ideologica di Mussolini nei confronti del suo epigono tedesco (il Duce avrebbe percepito in occasione della visita in Germania la “presa” ben altrimenti profonda del nazionalsocialismo sul popolo tedesco e si sarebbe illuso di ottenere in Italia la medesima fanatica adesione ricopiando pari pari i leitmotiv antisemiti)... C’è poi chi fin troppo generosamente sostiene che la tutto sommata blanda esecuzione delle leggi razziali in Italia non sia stata che un paravento per nascondere l’opera di reale difesa degli Ebrei attuata dal Regime (non me lo sto inventando: nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245, l’autorevole docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse (ebreo) afferma “Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (…). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio discriminare non perseguire. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia”.

Mah.... non posso nemmeno dire “ai posteri l’ardua sentenza” perché i posteri siamo noi.

Ad ogni modo, quali che siano stati i perché e i percome, la discriminazione razziale in Italia fortunatamente non ottenne risultati nemmeno lontanamente paragonabili a quanto accaduto in Germania e nelle nazioni occupate dai tedeschi. Antisemitismo e razzismo “biologico” semplicemente non attecchirono.


LA REPUBBLICA SOCIALE, IL DOPOGUERRA E IL RAZZISMO “SPIRITUALE”

Con la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e la conseguente caduta del Regime (che i “duri e puri” di allora imputarono immediatamente ad una improbabile “congiura giudeomassonica” operata dai collaboratori più stretti del Duce, anziché ad un tentativo maldestro e disperato di tirar fuori l’Italia dai pasticci salvaguardando le istituzioni e lo stesso Fascismo) le cose precipitano. I Tedeschi, non più frenati dalla loro condizione di alleati, danno subito il via alle prime retate ed uccisioni (a Merano 22 deportati nel settembre 1943, 50 uccisi sul Lago Maggiore nel mese successivo, oltre mille deportati a Roma sempre nel mese di ottobre di cui solo 17 faranno ritorno in Italia vivi). Tutto ciò prima ancora che il Governo della Repubblica Sociale Italiana proclami (punto 7 del Manifesto di Verona del 14 novembre 1943) che: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.

Ora, sebbene tale articolo costituisca a mio avviso una duplice infamia in quanto nello stesso periodo bellico cui l’articolo allude molti Italiani di origine israelita avevano combattuto nel Regio Esercito e addirittura alcuni ancora combattevano sotto le insegne della R.S.I., non posso non far osservare come già la locuzione “durante questa guerra” prefiguri un limite temporale, se non alla discriminazione, quantomeno al trattamento “da nemici” degli Ebrei. Il che, ancora una volta, denota un atteggiamento del Fascismo, anche quello “corrusco e disperato” della R.S.I, significativamente diverso dall’atteggiamento nazionalsocialista.

Comunque indubbiamente l’antisemitismo “blando” del Fascismo antecedente al 1943 subì una “correzione di rotta” che portò a numerosi casi di collaborazione con i Tedeschi nella ricerca e nell’arresto di cittadini Italiani di razza ebraica, anche se non mancarono casi in cui i rappresentanti delle autorità Fasciste continuarono a ritardare e sabotare le operazioni di consegna degli Ebrei ai Tedeschi, mettendo talvolta a rischio la propria vita.

Nel dopoguerra razzismo ed antisemitismo non compaiono affatto nei principi ispiratori del Movimento Sociale Italiano... au contraire... tant’è che anche una figura carismatica come quella di Julius Evola (autore, tra l’altro del “Mito del sangue” del 1937 e di “Sintesi di dottrina della Razza” del 1941) viene tenuta prudentemente da parte. E tuttavia l’influenza di Evola sui giovani militanti è enorme, in particolare per quanto riguarda la questione razziale. Il “razzismo” di Evola è profondamente diverso (e per certi versi opposto) al razzismo biologico che aveva dato vita al Manifesto del 1938. si tratta del cosiddetto“razzismo spirituale” che opera un distinguo tra razza biologica e “razza dello spirito”, quest’ultima intesa – cerco di sintetizzare – come somma di caratteristiche psichiche e culturali innate e non acquisite. La classica rappresentazione di una razza “dello spirito” è data, secondo Evola, proprio dal Giudaismo – che in sé riunisce in modo inscindibile razza, religione e cultura – cui si contrappone (o dovrebbe contrapporsi) la razza dello spirito “ariana”. Successivamente, sulla scia della mitizzazione del nazionalsocialismo e delle gesta belliche della Waffen SS da parte di molti giovani di destra, il razzismo ha ripreso il percorso “biologico” e ancora annovera numerosi adepti mentre altri hanno preferito risolvere la questione dando credito alle teorie negazioniste (o quanto meno “riduzioniste”) in merito allo sterminio di massa perpetrato dai nazisti.


LA NECESSITA’ DELLA COERENZA

Ora, a conclusione di questo sintetico quanto incompleto excursus in merito al razzismo vorrei esporre alcuni spunti di riflessione sui quali mi piacerebbe confrontarmi:

1) Se si presuppone che la semplice appartenenza ad una razza, sia essa biologica o dello spirito, sia tale da comportare necessariamente determinate caratteristiche comportamentali si sconfina nel determinismo più deteriore in quanto si finisce logicamente col negare il libero arbitrio e di conseguenza il principio di responsabilità dell’individuo circa il proprio agire.

2) Tale atteggiamento mentale, tipico di certa sinistra sempre pronta a rovesciare sulla “società” la responsabilità ultima delle malefatte dei singoli, non può che portare ad una forma di relativismo morale del tutto alieno dal modo di pensare della “Destra”.

3) Ne consegue che ogni forma di razzismo, come pure di discriminazione basata su altro che il comportamento dell’individuo, non appartiene né potrà mai appartenere al pensiero della Destra, né tanto meno alle forme d’azione politica che tale pensiero vorrà prendere.



Giovanni Bacci di Capaci


Alcuni link per chi volesse approfondire:

http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_081211_Non-ce-maggior-sordo-di-chi-non-vuol-sentire.htm

http://www.romacivica.net/anpiroma/FASCISMO/fascismo18.htm

http://books.google.it/books?id=0drVL5CHqMsC&pg=PA231&lpg=PA231&dq=razzismo,+msi&source=web&ots=biHNAoC3fd&sig=pJNru-hBvb9nj4wmFhcx9Rl-BrU&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=5&ct=result#PPA243,M1

http://ricordare.wordpress.com/

http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=6399

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